L’ETIMOLOGIA DI GR. ΘΕΟΣ: UN BILANCIO* Francesco Dedè ABSTRACT: In this paper t

L’ETIMOLOGIA DI GR. ΘΕΟΣ: UN BILANCIO* Francesco Dedè ABSTRACT: In this paper the main problems relating to the etymology of Gk. θεός “god” are discussed. After a brief discussion of the principal etymologies proposed both in ancient and modern times, two etymologies are taken into account, which have established themselves as the most probable: the first one traces θεός back to an i.-e. root *dhwes- meaning “blow, breathe”, while the second one starts from a reconstructed root noun *dheh1s- “sacred”. Although in recent years the second etymology established itself as the most certain, the analysis of the strengths and weaknesses of both etymologies shows that, although the second etymology does not involve problems as regards formal aspects and is therefore preferable, there is no compelling evidence to exclude the first one. KEYWORDS: etymology, Greek, Indo-European, god 1. INTRODUZIONE La parola greca θεός “dio” per ovvie ed evidenti ragioni gode di uno status particolare non solo nell’ambito del lessico greco, ma più in generale all’interno della storia e della cultura greca; proprio a causa di tale importanza, essa è stata da sempre oggetto di osservazioni di natura linguistica e in particolare di tentativi etimologici. Scopo del presente lavoro è quello di tentare una sintesi delle principali problematiche fin qui emerse nel dibattito intorno a gr. θεός e alla sua etimologia1. La prima dimensione da sottolineare è senz’altro quella della particolare collocazione geolinguistica di θεός tra i termini che designano la divinità in senso generico all’interno dello spazio linguistico indoeuropeo. Come è ben noto, per quanto riguarda tale designazione esiste un’importante isoglossa lessicale che accomuna quasi tutte le * VERSIONE POSTPRINT. Articolo pubblicato in «Studi e Saggi Linguistici» 56/1 (2018). 1 La necessità di un tentativo di riordinamento della materia è un’esigenza rilevata, tra gli altri, da Charles De Lamberterie, che afferma: «La bibliographie du sujet étant considérable, il faudrait établir l’état de la question avant de prétendre la faire progresser» (DE LAMBERTERIE, 2013: 36 nt. 86). lingue indoeuropee, dove il concetto di “divinità” è espresso per mezzo di termini il cui archetipo indoeuropeo è ricostruibile come *dei ̯wós2, ossia un derivato di i.e. *djeu ̯ -3, forma che indicava il cielo nella sua luminosità e per estensione il dio del cielo; a questa importante isoglossa lessicale sfuggono alcune lingue4 tra cui il greco, l’armeno e probabilmente il frigio, lingue che all’interno dello spazio linguistico indoeuropeo presentano numerosi tratti in comune, ivi compresa anche la derivazione della parola per “dio” da una medesima radice, ricostruibile come *dheh1s- o come *dhwes- (vd. infra per i dettagli della ricostruzione). Alla luce di questa distribuzione, è lecito chiedersi se l’isoglossa lessicale greco-armeno-frigia rappresenti un’innovazione o la conservazione di uno stato di cose estremamente antico. In base alla distribuzione delle forme che abbiamo appena osservato, pare evidente ‒ ed è oggi pressoché unanimemente accettato ‒ che tale isoglossa rappresenti un’innovazione comune a queste lingue. Certamente si può e si deve raccogliere l’invito alla prudenza ‒ formulato tra gli altri da Carlo Gallavotti in un articolo ormai datato ma molto lucido e accurato (Gallavotti, 1962: 26) ‒ nel considerare la forma *dei ̯wós come la designazione indoeuropea della divinità più antica in termini assoluti, quasi una forma ‘primordiale’ (cosa che è naturalmente indimostrabile sulla base dei dati a nostra disposizione); nel medesimo articolo, tuttavia, lo stesso Gallavotti formula ‒ seppure con riserva ‒ l’ipotesi secondo cui la forma per “dio” comune a greco e armeno sarebbe addirittura più antica di quella riconducibile all’archetipo indoeuropeo *dei ̯wós5: tale ipotesi è innanzitutto in contrasto con la teoria generale del mutamento linguistico, secondo cui tratti comuni a lingue che sono attestate alle periferie di uno 2 Cfr. aind. devá-, lit. diẽvas, lett. dìevs, lat. deus, air. día. 3 A sua volta, i.e. *djeu ̯ - può essere interpretato come un ampliamento in -u- di una radice *dei̯- “brillare”, cfr. NIL: 75 nt. 26 e BADER (1993: 12 ss.). 4 In questi casi l’antica parola per “dio” è stata sostituita da altre formazioni ma rimane in qualche modo attestata, cfr. av. daēva-, asl. eccl. divŭ (in entrambi i casi con il noto slittamento semantico “dio”  “demone”), an. tívar (pl.) “dèi (del paganesimo)”, arm. dikʻ (pl.) “id.”, gr. Ζεύς. Particolare la posizione dell’ittito, in cui la parola per “dio” non deriva da *dei̯wós, bensì direttamente dalla forma atematica *djeu ̯ -. Per una panoramica sulle designazioni indoeuropee della divinità cfr. WATKINS (1974) e MALLORY and ADAMS (1997 s.v. GOD). 5 Cfr. GALLAVOTTI (1962: 26). stesso continuum linguistico sono di norma da interpretarsi come conservazioni di caratteristiche appartenenti a fasi più antiche; inoltre quest’ipotesi fa leva su una pretesa conservatività linguistico-culturale dell’area linguistica da cui sarebbero derivati il greco e l’armeno che è in qualche modo una petitio principii; da ultimo, essa si fonda su considerazioni di ordine culturale e religioso secondo cui la rappresentazione concettuale della divinità che sarebbe stata veicolata originariamente dall’antenato di gr. θεός sarebbe da ritenere più antica rispetto a quella associata alla forma *dei ̯wós. È evidente però che il passaggio da un dato linguistico ricostruito ad un’interpretazione culturale e religiosa è un’operazione delicata e rischiosa, ragion per cui sembra più prudente cercare di fondare l’analisi su criteri innanzitutto linguistici. 2. L’ETIMOLOGIA DI ΘΕΟΣ TRA ANTICHI E MODERNI 2.1. Etimologie antiche Come si è sopra accennato, i tentativi di etimologizzare il termine θεός sono copiosi già in epoca antica: di essi, i due più rilevanti sono senza dubbio (anche per l’importanza dei loro autori nella storia culturale e letteraria greca ed europea) quelli di Erodoto e di Platone. Il primo riconduce la sua etimologia ai Pelasgi, presso i quali gli dei sarebbero stati chiamati θεοί per il fatto di aver posto in ordine il mondo e i suoi elementi6; ritroviamo qui un elemento che ricorrerà poi – seppure con interpretazioni e sfumature assai diverse – in numerosissime proposte etimologiche moderne relative a θεός, ovvero il suo collegamento con il verbo τίθημι, collegamento facile a prima vista, più problematico nei suoi dettagli morfologici e semantici. D’altra parte, Platone, nella lunga ‘galleria’ di etimologie presente nel Cratilo, offre un’interpretazione naturalistica del significato più antico di θεός: nell’ottica di una religiosità 6 Hdt. 2.52: «[οἱ Πελασγοί] Θεοὺς δὲ προσωνόμασάν σφεας ἀπὸ τοῦ τοιούτου ὅτι κόσμῳ θέντες τὰ πάντα πρήγματα». primitiva gli dei sarebbero stati identificati con gli astri che «corrono nel cielo» 7. Abbiamo qui due tipici esempi di etimologie antiche, in cui lo scopo di chi le propone non è tanto quello di raggiungere una verità il più possibile accurata sul piano storico-linguistico, quanto piuttosto quello di ritrovare, a partire dalla constatazione di una certa somiglianza formale, un collegamento tra due concetti che sul piano semantico egli ritiene già correlati; è un procedimento in cui il dato semantico-culturale fonda totalmente l’etimologia e in cui il dato formale deve limitarsi ad avallare l’accostamento dei due termini in gioco. 2.2. Etimologie moderne considerate non più valide Se l’antichità classica ci offre già esempi di analisi etimologiche di θεός, numerosi e variegati sono i tentativi di interpretazione sorti nell’ambito della moderna linguistica storico-comparativa. Sarebbe superfluo, anche in un tentativo di storia della questione, analizzare singolarmente e in dettaglio tutte le proposte avanzate8; si può tuttavia notare che, al di là di alcuni casi rimasti isolati, la maggior parte di esse può essere ricondotta a tre principali linee di analisi etimologica, che di seguito presentiamo. Innanzitutto occorre ricordare le etimologie che perseguono l’obiettivo di ricondurre gr. θεός all’archetipo indoeuropeo *dei ̯wós: uno dei primi tentativi in tal senso è quello di Theodor Benfey (1842: 207), il quale, partendo da una protoforma greca *δειϝος (che sarebbe l’esito greco regolare di i.e. *dei ̯wós), ipotizza un influsso esercitato dall’approssimante labiovelare /w/ sull’occlusiva iniziale9. Questa trafila 7 Pl. Crat. 397c-d: «Τοιόνδε τοίνυν ἔγωγε ὑποπτεύω· φαίνονταί μοι οἱ πρῶτοι τῶν ἀνθρώπων τῶν περὶ τὴν Ἑλλάδα τούτους μόνους [τοὺς θεοὺς] ἡγεῖσθαι οὕσπερ νῦν πολλοὶ τῶν βαρβάρων, ἥλιον καὶ σελήνην καὶ γῆν καὶ ἄστρα καὶ οὐρανόν· ἅτε οὖν αὐτὰ ὁρῶντες πάντα ἀεὶ ἰόντα δρόμῳ καὶ θέοντα, ἀπὸ ταύτης τῆς φύσεως τῆς τοῦ θεῖν “θεοὺς” αὐτοὺς ἐπονομάσαι». 8 Le due sintesi più accurate dei vari tentativi sono senz’altro quella di VANIČEK (1877: 386 nt. 11), relativamente alla ricerca più antica, e quella di GALLAVOTTI (1962, passim), relativamente agli sviluppi fino alla prima metà del XX secolo. 9 In quella sede Benfey non si diffonde in dettagli di ordine fonetico, limitandosi a parlare genericamente di un influsso da parte di /w/ che avrebbe aspirato la consonante iniziale. Tuttavia, dato il tipo di mutamento descritto, sembra ragionevole affermare che egli postuli un influsso di tipo assimilatorio: da ciò consegue che l’approssimante labiovelare /w/ è qui considerata un etimologica si ritrova in interventi di altri autorevoli esponenti dell’indoeuropeistica ottocentesca, come ad esempio Adalbert Kuhn che, in un articolo comparso nel primo numero della sua Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung, ne fornisce (senza citare Benfey e forse indipendentemente da quest’ultimo) un’identica spiegazione10. All’interno della medesima linea interpretativa, merita un accenno il tentativo etimologico di Graziadio Isaia Ascoli; prendendo atto delle insormontabili difficoltà fonetiche derivanti dal uploads/Geographie/ dede-l-x27-etimologia-di-gr-theos-un-bilancio-postprint-pdf.pdf

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