Annie Dubourdieu Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome R

Annie Dubourdieu Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome Rome : École Française de Rome, 1989, 594 p. (Publications de l'École française de Rome, 118) Résumé Les Pénates sont une collectivité de dieux non individualisés qui tirent leur nom de la partie la plus retirée de la maison, le penus ; ils sont donc spécifiquement attachés à ce lieu et, par extension, à toute la maison qu'ils désignent souvent métonymiquement, ce qui explique la forte valeur affective dont ils sont chargés. Dans le culte privé, pourtant, les Pénates ne sont pas autrement représentés que sous les traits de divinités ayant par ailleurs une individualité propre (Jupiter, Fortuna, etc.), rassemblées là par le paterfamilias. Le culte public des Pénates est une extrapolation du culte privé, sans doute le culte du foyer du roi devenu celui de l'État. Les Romains honorent leurs Pénates dans l'Aedes deum Penatium de la Vélia, où les dieux étaient représentés comme deux jeunes gens assis, mais aussi sans doute dans l'Aedes Vestae du Forum, dont la partie la plus secrète, le Penus Vestae, renfermait de mystérieux sacra de provenance troyenne plus ou moins nettement affirmée. Le culte public des Pénates est en effet étroitement lié à la légende des origines troyennes de Rome, selon laquelle Énée apporte et installe à Lavinium les Pénates troyens, fruit d'une longue élaboration qui fait fusionner la légende de la venue d'Énée en Italie avec des éléments de la civilisation lavinate et transforme à la fois le personnage d'Énée et l'identité de ses dieux. Rome a annexé à son profit cette tradition, et reconnaît en Lavinium sa métropole, ce dont témoigne le pèlerinage annuel des magistrats romains à Lavinium, pour y sacrifier à Vesta et aux Pénates. L'existence de trois cultes des Pénates publics s'explique par la superposition de deux légendes des origines, troyennes et albaines, de Rome, à celle d'une fondation indigène. Citer ce document / Cite this document : Dubourdieu Annie. Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome. Rome : École Française de Rome, 1989, 594 p. (Publications de l'École française de Rome, 118) http://www.persee.fr/web/ouvrages/home/prescript/monographie/efr_0000-0000_1989_ths_118_1 COLLECTION DE L'ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME ANNIE DUBOURDIEU LES ORIGINES ET LE DÉVELOPPEMENT DU CULTE DES PÉNATES À ROME ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME PALAIS FARNESE 1989 © - École française de Rome - 1989 ISSN 0223-5099 ISBN 2-7283-0162-X Diffusion en France : DIFFUSION DE BOCCARD 11, RUE DE MÉDICIS 75006 PARIS Diffusion en Italie : L'«ERMA» DI BRETSCHNEIDER VIA CASSIODORO, 19 00193 ROMA SCUOLA TIPOGRAFICA S. PIO X - VIA ETRUSCHI, 7-9 - ROMA PREFAZIONE Gli scavi condotti a Lavinio in questi ultimi decenni hanno suscita to nuove riflessioni intorno ad alcuni temi della religione romana e alla leggenda delle origini di Roma. Accanto agli studi che si sono avuti, oltre che sulla formazione del mito di Enea nel Lazio, sulla storia e il significato cultuale di Castore e Polluce, di Minerva, di Indiges ecc, non poteva mancare un riesame del culto dei Penati, che a Lavinio ave va un ruolo privilegiato, così efficacemente indicato dalle parole di Varrone : Oppidum quod primum conditum in Latto stirpis Romanae Lavinium : nam ibi dii Penates nostri. La presente opera affronta que sto argomento con ampiezza di visione e organicità di struttura, utili zzando tutti gli strumenti offerti dalla linguistica, dalla filologia, dal l'archeologia. Si tratta infatti di un tema di particolare difficoltà : esso si presentava oscuro già agli antichi, che ci hanno lasciato al riguardo opinioni contrastanti. Lo stesso Varrone sembra avere espresso in diversi luoghi della sua opera concetti diversi, secondo quanto leggi amo in Servio Danielino {ad Aen. Ili, 148). La situazione è resa ancora più difficile in quanto l'erudizione degli antichi ha, come in altri temi della religione e della mitografia, introdotto elementi che sono soltanto il frutto di dotte speculazioni. L'opera esamina anzitutto il problema etimologico, importante per la definizione del significato stesso dei Penati. In ordine a questo stesso obiettivo è acutamente approfondito (soprattutto attraverso lo studio dei larari di Pompei) il carattere che essi hanno nel culto privato. Ma la maggior parte dell'indagine riguarda naturalmente i Penati pubblici, articolandosi nello studio dei luoghi di culto : il tempio di Vesta nel Foro, il tempio sulla Velia, il tempio di Lavinio. Con grande efficacia viene sostenuta, contro il parere di molti stu diosi, la presenza dei Penati nel tempio di Vesta : è proprio questo che deve essere ritenuto il vero luogo di culto originario dei Penati a Roma. Lo stretto collegamento cultuale tra Vesta e i Penati ha una grande importanza come elemento indicativo per la definizione del significato stesso dei Penati, sostanzialmente affine a quello di Vesta. VIII ORIGINES ET DÉVELOPPEMENT DU CULTE DES PÉNATES À ROME Questa unione dei due culti nel tempio del Foro trova un preciso riscontro a Lavinio, dove i magistrati romani sacrificavano ogni anno Penatibus pariter ac Vestae. Questa analogia penso debba estendersi, a mio avviso, alla tipologia stessa dell'edificio templare : infatti, secondo Dionisio di Alicarnasso, i Penati di Lavinio si trovavano in una καλιάς, cioè in un tempio circolare a forma di capanna, che corrisponde dun que al tempio del Foro (che ha un rapporto strutturale con la capanna, come è affermato dagli scrittori). La καλιάς di Lavinio è rappresentata, in tale forma, nei medaglioni di Adriano e di Antonino Pio e in altre fonti iconografiche. L'analogia dei culti di Vesta e dei Penati a Lavinio e a Roma trova spiegazione nella comune appartenenza alla civiltà latina (mentre non mi sembra proponibile l'ipotesi di una priorità cronologica di Lavinio). E quanto al fatto che i Penati di Lavinio venissero considerati Penati di Roma, si deve trovarne la ragione, come è ben dimostrato dalla Du- bourdieu, nella leggenda troiana e nel foedus del 338 con cui Roma accettava il mito di una unità dei popoli latini che traeva origine da Lavinio. Particolare attenzione è dedicata al tempio dei Penati sulla Velia. Anzitutto si affronta il problema della duplicità dei luoghi del culto in Roma, e se ne trova la soluzione in una recente teoria che il tempio della Velia debba la sua origine ad un ipotetico trasporto a Roma, nella casa di Tulio Ostilio, dei Penati di Alba. Tuttavia possiamo domandarci se sia veramente un problema questa duplicità dei luoghi di culto: non abbiamo forse più luoghi di culto in Roma, per esempio, per la triade Giove Giunone Minerva, per Giunone Regina, per Giove Statore, per Èrcole Vincitore? Ma soprattutto è da osservare che non mancano motivi precisi per spiegare un tempio particolare, autonomo, dei Penat i; altro è il carattere arcaico, legato a Vesta e al penus, nel tempio di Vesta, altro è quello del tempio sulla Velia quale ci è documentato da Varrone e Dionisio di Alicarnasso. Né appare convincente il fatto che il culto di una città distrutta sia stato posto nella casa privata di un re. Da rilevare inoltre che non abbiamo testimonianze sull'esistenza di un cul to dei Penati ad Alba, e che è da dimostrare l'alta antichità del tempio dei Penati sulla Velia. Su questo tempio veliense, come è noto, sono state in questi ultimi anni formulate nuove ipotesi : il tempio sarebbe da identificarsi con l'edificio rotondo noto come tempio del divo Romolo; ovvero sarebbe stato nell'area della basilica di Massenzio e quindi distrutto, mentre le immagini dei Penati avrebbero preso posto nelle aule fiancheggianti il PREFAZIONE IX «tempio del divo Romolo» (identificato, quest'ultimo, come tempio di Giove Statore) : queste immagini sarebbero riprodotte nelle monete di Massenzio che raffigurerebbero questo edificio. Da questa teoria altre conseguenze vengono sviluppate dalla Dubourdieu : avremmo recuper ato, nelle monete di Massenzio, l'iconografia dei Penati come figure giovanili con un bastone in mano; questo attributo troverebbe un riscontro nella raffigurazione dell'Ara Pacis (dove sarebbe rappresentat o un sacello portatile immaginato a Lavinio) nonché nei «caducei» visti da Timeo nel santuario di Lavinio. Questi bastoni vengono spiegati in rapporto ad un ruolo dei Penati come itineranti, messaggeri, ruolo dovuto alla creduta origine troiana. Si aprono così prospettive di gran de rilievo non solo sulla iconografia ma anche sul significato dei Penat i. È tuttavia evidente che il loro accoglimento è subordinato a quello delle nuove teorie sulla topografia della via Sacra e della Velia e della interpretazione delle figure nelle monete di Massenzio (che sono inve ce, a mio avviso, Eroti funerari nel sepolcro di Massenzio sulla via Appia). Un punto centrale per la comprensione del ruolo dei Penati è il co llegamento con la leggenda troiana, che portò all'identificazione coi sacra portati da Enea. Del resto già R. H. Klausen, un secolo e mezzo fa, nel suo celebre Aeneas und die Penaten. Die italischen Volksreligio nen unter dem Einfluss der griechischen, aveva visto la necessità di affrontare congiuntamente i due temi. A questo proposito la Dubourd ieu svolge un'approfondita discussione sul dibattuto problema della leggenda troiana nel Lazio, e, tra le varie ipotesi che si sono formulate, aderisce alla teoria che la leggenda lavinate di Enea si sia affermata e uploads/Religion/ dubourdieu-1989-les-origines-et-le-developpement-du-culte-des-penates-a-rome.pdf

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  • Publié le Apv 17, 2022
  • Catégorie Religion
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